C’è un’immagine tenerissima. Sta per cominciare il secondo tempo quando i ragazzi in maglia azzurra si avvicinano unendo le mani al cielo. Il risultato è 6-0 per gli spietati panzer tedeschi. Passano tre minuti e Iosefo Verevou diventa per un attimo l’eroe di un paradiso naturale.
Vent’anni ancora da compiere e il 9 sulle spalle, raccoglie uno spiovente dalla destra e di testa insacca il gol della bandiera.
Si scatena il delirio, i compagni lo inseguono ma prima di concedersi al loro abbraccio si lascia andare a un balletto divertente. Nessun gol della Germania, per la serie ‘ti piace vincere facile’, viene festeggiato come questo.
Nemmeno un milione di abitanti, meno di un terzo di Berlino, un arcipelago di 322 isole e 522 isolotti nel sud dell’Oceania. Sono le Isole Fiji, ex colonia britannica che ha ereditato la passione per il rugby, disciplina che da sempre oscura il calcio. Eppure, grazie ai ragazzi volati in Nuova Zelanda per il mondiale under 20, qualcuno si è ricordato che la palla può anche centrare i pali di una porta molto più bassa.
181° posto nel Ranking Fifa e nessuna partecipazione al mondiale da parte della nazionale maggiore che per molti anni non ha nemmeno provato a qualificarsi. Il primo tentativo risale a Spagna ’82 e nonostante i socceros australiani siano ormai stati inseriti nella federazione asiatica i figiani non sono ancora rusciti a superare gli All Whites neozelandesi. Qui, tra le palme e un pubblico da campetti di periferia, si è arrivati al massimo al terzo posto del 1998 e del 2008 nella Coppa Oceania.
Verrebbe quasi da ridere se non fosse per il fatto che i figiani la prendono tremendamente sul serio. I giovani demoliti nel match d’esordio sognano di emulare Osea Vakatalesau, soprannominato Ozzy, colosso di 95 chili che con 23 gol in 36 partite è considerato il più grande calciatore nella storia delle isole. Gioca nel Ba F.A., società fondata nel ’32 nell’omonima città, divisa nera e bacheca piena zeppa di titoli nazionali.
Ok, stiamo pur sempre parlando di un paese in cui canna da zucchero, cocco e banane la fanno da padrone però questo gigante barbuto abbiamo rischiato di vederlo al mondiale per club dato che nel 2007 ha perso la finale dell’OFC Champions League, la Coppa dei Campioni dell’Oceania, contro i neozelandesi del Waitakere United.
Il grande calcio è sovradimensionato rispetto alle piccole Fiji ma forse non ancora per molto perché l’orgoglio da queste parti non manca; basti pensare che l’indipendenza dall’impero britannico è arrivata solo nel 1970 e qualcuno vorrebbe già togliere qualsiasi traccia di colonialismo. Come l’Union Jack, ad esempio, ancora presente sullo sfondo azzurro chiaro come il mare della bandiera. Lo stemma ufficiale invece è uno scudo in cui il leone britannico, che tiene tra le zampe un bacello di cacao, sormonta le attività agricole e la colomba della pace perché gli occhi di questa gente ispirano tutto fuorchè la guerra.
Ma torniamo a noi e a quella gioia per il timido gol della bandiera di una partita finita 8 a 1. Sembrava un modo per attirare l’attenzione, per dire al mondo ‘ehi ci siamo anche noi!’ e invece i figiani nella seconda partita del girone hanno schiantato 3-0 l’Honduras. Al quarto d’ora Verevou era già in vena di gonfiare la rete e fare un altro balletto, cinque minuti dopo Wada ha raddoppiato in acrobazia e alla fine del primo tempo Tuivuna di testa ha propiziato l’autogol di Alvarez.
Nel secondo tempo gli honduregni hanno provato invano a riaprire il match ma al triplice fischio il palcoscenico era tutto per quei ragazzi che tre giorni prima sembravano un’armata brancaleone.
Manca ancora una partita, bisognerà resistere all’Uzbekistan per accedere agli ottavi e continuare a scrivere la storia. O forse no, perché certe favole per essere ricordate non hanno bisogno del lieto fine.