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COME LUCCIOLE A NATALE

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Scrivo da una spiaggia di Sorrento con una vista impagabile ma purtroppo è rovinata da un tempo pessimo; sono solo, non ci sono neanche gli ombrelloni e le sdraio e i miei unici compagni sono dei grossi gabbiani che mi svolazzano sulla testa.

Sono giorni che ci penso e stamattina ho preso spunto dall’articolo di Gramellini sul Buongiorno: Jose’ Mourinho è una grande egoista!
Lui non vive per massimizzare i risultati di una squadra, vive per massimizzare la sua carriera e raggiungere i suoi obiettivi strettamente personali.
Come scrive Gramellini, lui vive di emozioni e non di sentimenti, le prime sono forti ed immediate, le seconde più profonde e lente da scoprire. Il nostro presidente all’inizio gli chiese di vincere subito e lui dopo solo due anni ci è riuscito, obiettivi raggiunti e dopo…

Mi ricorda i grandi manager americani che centrando subito gli obiettivi hanno massimizzato il profitto nel breve ma hanno creato dei buchi a lungo raggio e problematiche nella gestione delle imprese.
Invidio chi può vantare un Sir Alex alla guida della propria squadra oppure un Carlo Ancellotti da 7 anni al Milan.
Sarò sempre grato a Jose’ per averci fatto vincere tutto, ma allo stesso tempo lo considero un mercenario mentre avrei preferito qualcuno con un progetto a lungo termine, attaccato alla maglia, insomma qualcuno che viva di sentimenti e non di emozioni…
Permettimi questo sfogo, ma il suo addio mi ha fatto godere così poco di queste vittorie che sono rimasto con l’amaro in bocca.

J.

Mou

La risposta

Vorrei dirti tante cose e proverò a metterle in ordine.

Ieri sera, seduto sul divano con il piede sul tavolino e la borsa del ghiaccio sulla caviglia, l’adrenalina ha cominciato a scendere e ho preso coscienza di ciò che è successo. Sul mio volto è apparsa la curva di un sorriso, quasi un ghigno, nonostante il dolore del piede gonfio come un melone.
Perdonami se queste righe usciranno confuse e slegate ma l’emozione è ancora tanta e non smette di crescere dentro me.

Ho visto le immagini di San Siro e i 40.000 che hanno vegliato aspettando la Coppa. Avrei voluto essere lì, lo ammetto. Contento, contentissimo di essere stato vicino a te e agli altri cantando, urlando, danzando nella notte romagnola ma avrei voluto essere lì, magari anche da solo sul mio solito seggiolino.
Poi ho pensato che forse è giusto così perché c’è un filo rosso che segna la mia stana storia di tifoso.
In 5 anni di abbonamento e quattro scudetti vinti non sono mai riuscito a festeggiarne uno sul campo, incredibile.

Step by step

Il 15° scudetto vinto a Siena l’ho accolto in modo amaro. Tornai a casa dopo una sconfitta che stava condannando la mia squadra alla retrocessione (poi per fortuna ci siamo salvati) e seguii alla radio in macchina gli ultimi minuti della partita. Vidi le immagini della festa in tv, ancora una volta col ghiaccio sulla caviglia dolorante. Mi chiamarono i miei genitori che nel frattempo erano andati a farsi un giro a Milano e si trovarono improvvisamente sommersi da caroselli di piazza Duomo.

Lo scudetto sarebbe dovuto arrivare la domenica successiva ma la sconfitta della Roma a Bergamo ci diede il titolo. Bello, eppure non riuscii a godermelo.

Ho insistito e l’anno dopo ebbi addirittura due match point. Il primo nel derby di ritorno, la soddisfazione di festeggiare in faccia ai cugini e condannarli all’Europa League. Andai allo stadio con mio padre, tremavamo dall’emozione. Eravamo di fianco alla nostra coreografia che recitava “Puoi dire quello che ti pare ma il tuo incubo si sta per avverare”. E invece no. Perdemmo 2-1. Nessuno mi leverà dalla testa che ci fu un tacito accordo tra due club rivali però realmente mai in guerra. Vogliamo ricordare Maniche e Viera in mezzo al campo? Giocammo molli nonostante quella fosse la condizione ideale per giocare un derby; non avevamo niente da perdere ma tutto da guadagnare, l’occasione unica di giocare a viso aperto perché anche perdendo avremmo potuto festeggiare la domenica successiva battendo il Siena in casa.

Invece no. Bloccati.

La domenica seguente non c’era alcun rischio contro il Siena in casa e pensai “Finalmente”. Invece no. 2-2 contro una squadra già salva che non aveva niente da chiedere al campionato. Incredibile. Non scorderò mai quel pomeriggio, la desolazione del parcheggio e gli ultrà che ritiravano in silenzio la coreografia. Festa rovinata. Sembravano i titoli di coda di una pellicola drammatica.

Nel diluvio di Parma ci volle Ibra (per una volta davvero decisivo) a consegnarci lo scudetto. Andai a San Siro ad aspettare i ragazzi. Lo volevo troppo. Mentre tutti lo consideravano un dio io non l’ho mai amato, non mi è mai stato simpatico. Anzi, quelli con la maglietta di Ibra mi davano anche un po’ fastidio. Fondamentale in campionato ma assente in Europa. Certo che però merita gratitudine infinta per quella doppietta.

L’anno scorso la tristezza dello spezzatino mi ha privato un’altra volta di questa gioia. La sconfitta del Milan a Udine ha portato la squadra dal ritiro di Appiano Gentile direttamente al bus di piazza Duomo. Sinceramente ho provato quasi tristezza. Non ho esultato nemmeno perché era una violenza per un romantico come me.
Quest’anno ancora Siena sulla nostra strada. Volevo andare in trasferta ma ero fuori per lavoro il giorno della vendita dei biglietti. Sfortuna? Forse era il destino. Il filo rosso che unisce il mio amore per la pazza Inter.
Il giorno della finale di Champions attesa da 38 anni non sono potuto andare in Piazza Duomo né a San Siro ma a Milano c’erano mio padre e mia madre: 115 anni in due. Fantastici.
Nel romanzo della storia del calcio c’è un capitolo scritto dall’Inter nel Maggio 2010, è inciso nell’olimpo della imprese sportive. Era scritto che nella mia storia di tifoso non potessi assistere direttamente a questa vittoria, prima beffato dalla vendita dei biglietti per Madrid, poi diretto a Rimini. Non importa, si vede che doveva andare così.

Gli ultimi 5 minuti di Bayer Monaco-Inter sono stati i più belli di tutta la mia vita nerazzurra. E’ stato il mio Sabato del villaggio, l’attesa che ti separa dalla gioia più grande. E’ stato come spogliarla per la prima volta nella penombra e baciandola sul collo sentire l’eccitazione che sale.

Se ripenso a com’è iniziata…

Il 28 agosto il poker al Milan. Ero andato con due miei compagni di squadra milanisti in mezzo ai rossoneri. Sono stato l’unico nel settore a esplodere ad ogni gol, che smacco. Ero ancora sonnolento per aver attraversato l’Italia nella notte in macchina con un amico.
Pensai che in fondo era solo agosto, la preparazione, l’anagrafe del Milan, insomma era presto per esaltarsi. Tra l’altro ero scettico per l’inserimento dal primo minuto di Snejider, arrivato da 24 ore in Italia senza nemmeno un allenamento. Pensai: “Che cazzo fa il mister? Solite scene da Inter, non conosce nemmeno i compagni e lo schieriamo subito nel derby col 10 sulle spalle!”
Ma José aveva maledettamente ragione. L’ha cercato per tutta l’estate e diceva che senza un trequartista non avremmo vinto in Europa. Aveva fortemente voluto anche Quaresma però e temevo un’altra sola. Invece no. Aveva maledettamente ragione. Quella sera in fin dei conti marcò Pirlo ma la stagione che ha giocato è sotto gli occhi di tutti.

Dopo la sconfitta di Manchester della stagione precedente disse che servivano 5 uomini per vincere la Champions. Gli hanno preso quelli che voleva, senza fare follie economiche, e ha vinto.

Voleva un centrale alto con esperienza europea e coi saldi dalla Baviera è arrivato Lucio. Scoordinato, brutto da vedere e anche un pò cattivo, d’accordo, ma efficace. Incostante, lento e nervoso nelle partite meno importanti ma come ha giocato a Milano contro Drogba? E a Londra? E nel doppio confronto col Barça? E in finale? Quando contava veramente, nella partite in cui non puoi permetterti sbavature, è stato impeccabile e non scorderò mai il commento della Gazzetta l’indomani di Inter-Chelsea: “sembra Spartacus al Colosseo”. Proprio così.

Vogliamo parlare di Walter? Non ci sono aggettivi per descrivere le doti di questo difensore, basta il soprannome quantomai azzeccato: The Wall. Samuel probabilmente nell’uno contro uno è il migliore al mondo. Non abbiamo centrali abili con la palla tra i piedi ma sopperiamo con le qualità di altri giocatori.

L’innesto di Thiago Motta come regista basso per esempio, in un ipotetico rombo di centrocampo, è stato prezioso. Ha avuto un calo e a Barcellona l’avrei ucciso, non scalda il mio cuore ma è stato l’uomo in più nelle gare delicate.

Chi mi scalda il cuore invece è la vecchia guardia: da Cambiasso a Stankovic, da Zanetti a Materazzi, da Chivu a Cordoba.
Cafè Colombia ha accettato il ruolo di comprimario, di gregario di lusso e credo che la nostra forza sia stata proprio il gruppo. Qualcuno dello zoccolo duro si è fatto da parte per lasciar spazio ai nuovi arrivati. E’ stato un rinnovamento mirato in cui tutti hanno avuto importanza. Lo dobbiamo soprattutto a quell’uomo partito da Setubal e che è passato da Milano cambiando la mia vita di tifoso. E’ stato lui a convincere tutti di essere i più forti. Siamo arrivati al punto che Muntari e Mariga si compiacciono guardandosi allo specchio.

Subito dopo la vittoria ha dichiarato che Milano sarà sempre la sua casa. Ha ragione, quando lo incontrerò da avversario mi spellerò le mani per applaudirlo e tiferò un pochino per i suoi successi, qualsiasi squadra straniera alleni.

E’ stato lui a convincere Eto’o a sacrificarsi sulla fascia, a dosare i minuti di Dejan, tanto utile e battagliero quanto fragile fisicamente ormai. Il Drago sembrava dovesse passare alla Juve e invece eccolo qua più orgoglioso che mai. Tutto grazie a José.

Mou Eto'o

Tornando ad Eto’o, è stato il vero affare, la vera intuizione di mercato. Dicevano che senza Ibra non avremmo più vinto in Italia. Me li ricordo i proclami estivi. Abbiamo fatto più fatica senza le sue giocate in grado di risolvere le partite, soprattutto contro le piccole, ma in cambio abbiamo ricevuto Eto’o e 60 milioni coi quali acquistare il Principe Milito, Snejider, Thiago Motta e Lucio.
Voleva questi, li ha ottenuti e ha vinto. Più di così.

L’innesto a stagione in corso di Pandev si è rivelato una mossa precisa e calcolata.
E’ andato tutto come un romanzo. Chivu che sembrava potesse rischiare la carriera e invece eccolo lì a Madrid! L’acchiappasogni che fa il botto in macchina e pochi giorni dopo guarda cosa para a Barcellona!

Mourinho è antipatico a molti per la sua arroganza, la spocchia, la sicurezza di sé ai limiti della maleducazione.
Anch’io ero scettico al suo arrivo, la sua mancanza di umiltà mi urtava. Poi ascoltandolo ho imparato ad apprezzarlo. E’ sicuro di sé, convinto, colto, intelligente e dice quello che pensa.
Domanda al Chiambretti Night: “Però a molti stai antipatico”
Risposta: “Non si può stare simpatici a tutti, nemmeno Gesù era simpatico a tutti”

Se non è una risposta geniale questa…

Uno straniero che dal primo giorno ha battagliato a muso duro coi giornalisti. Da quella prima conferenza stampa in cui rispose “Non sono un pirla” all’invenzione dei “Zeru tituli” visti da molti come uno sfottò. Era certo che Roma, Juve e Milan non avrebbero vinto niente quindi in fondo perché non dirlo? Per rispetto? Il rispetto è un’altra cosa. In Italia se non sei un paraculo (soprattutto nel calcio) e dici quello che pensi risulti scomodo, vedi Zeman.

Ha chiesto a ognuno di seguirlo, ha convinto ciascun giocatore a fidarsi di lui perché era l’unico modo per cambiare la mentalità e renderla vincente. Ha fatto sentire tutti importanti, da chi ha giocato di più a chi ha giocato di meno. Se ci fai caso nelle sue dichiarazioni c’è sempre stata una parola buona per Toldo o Materazzi.
Ho apprezzato molto la sostituzione nei minuti finali di Madrid. Ha tolto Milito per la standing ovation inserendo Materazzi, uno che ne ha passate tante. Ha voluto rendere omaggio a un giocatore che ha ingoiato tanti bocconi amari in questi anni. L’ingresso di Matrix è stata la chiusura di un cerchio, la riconoscenza verso tutti gli interisti che ci hanno incarnato il non mollare mai.

José ha sempre attirato su di sé l’attenzione e penso che non lo facesse per protagonismo ma per proteggere i suoi giocatori. Ha le spalle larghe e due palle così sotto.
Dopo il suo arrivo non è scoppiata mai una grana nello spogliatoio, mai una polemica. Tutti i giocatori che ha allenato parlano bene di lui, come mai?

Non ho mai pianto per il calcio ma dentro sono commosso.
Mourinho mi mancherà e sotto sotto c’è la paura di buttare via tutto e ripiombare nel tunnel degli anni bui. Dopotutto spero abbia gettato un seme, mi auguro che società, tifosi e giocatori facciano tesoro dei suoi insegnamenti, dei suoi allenamenti maniacali, della sua precisione nel lavoro. Spero arrivi un successore degno che continui il progetto.

E vi prego non facciamo paragoni, perché non c’è un altro José Mário Dos Santos Félix Mourinho da Setúbal, il profeta che ha riportato grande l’Inter dopo 45 anni.

Vi prego, rinnoviamoci piano piano con intelligenza senza cadere nell’errore di allestire una squadra di figurine. Riconoscenza infinita per gli eroi di questo triplete ma ci vuole il supporto di giovani di qualità in ogni reparto.

L’unico neo della stagione è stato l’infortunio di Santon, mio pupillo che spero abbia un grande futuro.
Sogno un futuro con Pupi in società (che ha ricordato Peppino Prisco) e il Cuchu (che ha indossato la maglia di Facchetti). Cerchiamo di formare una grande famiglia o almeno proviamoci.

Javier ha pianto, ha pianto tanto nel giorno in cui ha giocato la 700esima partita con la maglia nerazzurra. In casa ho una fascia da capitano con dedica.
E ti dico una cosa, il giorno del mio funerale vorrei sulla bara quella maglia numero 4. Mi piace, mi è sempre piaciuto, è il simbolo dell’Inter per me, sono cresciuto con lui, con i suoi esordi, le sue delusioni e questi successi. La mia prima partita allo stadio è coincisa col suo esordio all’Inter. Era il 27 agosto 1995 e battemmo il Vicenza 1-0 con gol di Roberto Carlos.

Come avranno festeggiato i ragazzi questo triplete? Cosa sarà successo negli spogliatoi e sull’aereo? Chi lo sa…adesso è tutto finito. Molti partiti per i ritiri delle nazionali e arrivederci a fine luglio.

Siete scappati così? Dopo una stagione talmente intensa?

Dopo 60 minuti di assedio a Barcellona? Dopo aver eretto un fortino che ho visto costruire mattone su mattone, minuto dopo minuto? Ho sudato e sofferto come non mai.
Dopo un derby vinto giocando in 10 contro 11 per un’ora?
Dopo aver rischiato di perdere lo scudetto e averlo riacciuffato per i capelli alla terzultima?
Mi lasciate così dopo essere stati a +14 sulla seconda e a -1 dalla Roma alla quartultima giornata?

Ho pensato di perderlo questo scudetto. Ho pensato di chiudere a zero tituli e invece…
Ve ne andate così dopo la rimonta nel gelo di Kiev? Per la prima volta ho urlato “Grande mister” e l’ho sentito davvero il mio allenatore.
Mi sono affezionato come solo a Gigi Simoni e Hector Cuper, ciascuno per motivi diversi. Il primo per l’aria paterna con la quale si rapportava ai giocatori e il secondo per aver sfiorato un’impresa incoraggiando ogni giocatore con una pacca sul cuore all’ingresso in campo: “Yo soy contigo”

Zanetti, Materazzi, Cordoba hanno provato tutto questo, hanno attraversato l’inferno prima di arrivare all’Eden sabato sera.

Zanetti

Negli ultimi 5 minuti di Bayern-Inter nella mente mi è passato tutto: il gelo, il freddo, le code in macchina, le delusioni, le sfottute, le mancate feste, lo stadio, i soldi buttati, il panino con la salamella a 4 euro, la folla, la gioia, i tricolori sventolati e poi riavvolti dopo il 2-2 col Siena, l’eliminazione per mano dei norvegesi dell’Helsinborg e addio Champions League già ad agosto, Lippi che volle cambiare pure i magazzinieri e fece un buco nell’acqua, Baggio e le lacrime di Ronaldo, le stagioni dei tre allenatori, gli euroderby persi, la stagione da quintultimi, le rimonte fatte e subite, litigi, discussioni e adesso che ti scrivo e mi viene quasi da piangere e la pelle d’oca mi attraversa tutto il corpo partendo dai piedi fino ad arrivare alla punta dei capelli. Mi torna in mente il parcheggio desolato dopo una sconfitta e la festa ubriaca dello scudetto, calciopoli e le gufate, le rosicate degli avversari, Adriano e i giocatori che ho stimato anche se solo per poche stagioni, gli acquisti sbagliati, i bidoni e i colpi ben riusciti, i fischi dello stadio, i cori, le cessioni di Pirlo e Seedorf e le intuizioni come Cambiasso e Samuel.

Tutto.

Mi è passato tutto nella mente, e l’ho rivisto in pochi minuti mandandolo giù in sol boccone prima di urlare tutta la notte, e ubriacarmi fin quasi a rompermi un piede. Ho urlato fino all’alba ballando una danza piena di gioia e liberazione. Una festa per me, per mio padre, per tutti i miei amici interisti. In quei 5 minuti ho creato un buco nero dentro di me per poi sfogarlo.

E’ stato come prendere la rincorsa prima di un salto triplo, triplo come i nostri successi.

E c’è una cosa non scorderò mai: l’intervallo della partita. In cuor mio ero sicuro che avremmo vinto, sicurissimo. Non sono superstizioso ma sul tifo sono scaramantico infatti non avevo sulla di nerazzurro indosso. Non mi sono mai pronunciato sulla finale ma ero sicuro che avremmo vinto. Eravamo, o meglio siamo, i più forti.
Sono uscito sul balcone per assaporare ancora una volta, forse l’ultima, la quiete prima della tempesta.
Un silenzio irreale mi ha calmato, ho smorzato la tensione rispondendo a un paio di messaggi, cercando notizie dei miei. Nella notte dei colli romagnoli non si sentiva nulla se non il tintinnio delle posate in qualche cucina lontana.

E poi c’erano le lucciole, non ne avevo mai viste così tante, accendersi a intermittenza nei cespugli come le luci a Natale. Uno spettacolo mai visto. Sentivo che di lì a poco saremmo diventati campioni d’Europa, che la mia squadra era vicina al traguardo che avevo sempre sognato e considerato irrealizzabile.
Si dice che quando vivi un momento davvero importante della tua vita lo leghi a un ricordo particolare, a un’immagine che non scorderai mai. Io ho questo. Se mai mi chiederanno che ricordo ho della notte del 22 maggio 2010 quando l’Inter vinse la Coppa dei Campioni risponderò: “Le lucciole”.

Una scena incredibile.

Stavo per ricevere il regalo più bello, quello che non oseresti chiedere nemmeno a Natale. Eppure per me la notte del 22 maggio 2010 a San Savino è sembrato Natale, il Natale più bello.

Non avrei mai pensato di vivere una stagione così, non avrei mai pensato di vedere le lucciole a Natale.

Ti abbraccio,

Sergio




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