Tra il sorriso rassicurante del professore che tutti avremmo voluto e l’animo da ultras della Sudkurve ha attraversato mezza Europa con tuta, giaccone e occhialini da lettura. E’ cresciuto tra il calcio totale del Borussia Mönchengladbach e lo spirito ribelle delle lotte sindacali.
Di solito quando si raggiunge un obiettivo il merito va diviso tra società, giocatori e allenatore, si tende a premiare il gruppo rispetto ai singoli ma in questo caso è giusto ricordare che senza questo leader, arrivato in corsa, probabilmente non ce l’avremmo fatta. Oggi a St. Pauli sono tutti pazzi di Ewald Lienen e per capire il perché basta ripercorrere una stagione vissuta tra mille difficoltà.
Mancano pochi giorni a Natale quando al Millerntor arriva il Darmstadt, è il 14 dicembre e il gol di Holland a una manciata di minuti dalla fine segna il punto più basso della stagione dei pirati. La squadra scivola in fondo alla classifica con la miseria di 13 punti in 17 partite, 18 gol fatti e una difesa-gruviera perforata 36 volte. Numeri alla mano c’è poco da salvare, gli esperimenti di Vrabec d’inizio stagione non hanno portato alcun frutto e nemmeno la bandiera Thomas Meggle è riuscito a invertire la rotta e così arriva puntualmente una scossa.
Il presidente Oke Göttlich annuncia la decisione del comitato esecutivo di sollevare Rachid Azzouzi dall’incarico di direttore sportivo, la sua scrivania passa a Meggle e il vuoto in panchina viene colmato da Ewald Lienen che in due giorni deve preparare la trasferta in casa della capolista Ingolstadt e lo scontro diretto con l’Aalen.
La situazione è delicata ai limiti del drammatico ma non spaventa il 61enne, uno che impiegò 17 giorni per tornare in campo dopo squarcio di 25 centimetri alla gamba, uno che nonostante la coscia lacerata non ci pensò due volte ad andare faccia a faccia con Otto Rehhagel per accusarlo di aver incitato Siegmann a giocare duro Full Article. Uno che non ha mai nascosto il suo orientamento politico tanto da diventare uno dei fondatori del sindacato tedesco dei calciatori professionisti. Un uomo di sinistra, talmente a sinistra da rifiutare di firmare autografi perché infastidito dall’aurea da divo che avvolgeva i giocatori.
La sfida che Lienen accetta va a braccetto con una carriera tutt’altro che banale. Nato nella piccola Schloß Holte-Stukenbrock, al confine tra la Renania Settentrionale e la Vestfalia, ha fatto parte del canto del cigno del Borussia Mönchengladbach degli anni ’70 vincendo la Coppa Uefa nel ‘78 e perdendola l’anno successivo in finale contro l’Eintracht Francoforte.
La dottrina offensiva impartita da Weisweiler fece guadagnare a quei ragazzi il soprannome di ‘puledri’ ed esaltò il talento di Heynckes e Simonsen, unico giocatore nella del club a vincere il Pallone d’oro. Il duello col Bayern Monaco segnò un’epoca e la bacheca si arricchì di campionati e Coppa di Germania grazie a un calcio innovativo e offensivo oltre ogni limite, in sintonia con la psichedelia del tempo. Il Borussia Mönchengladbach salì alla ribalta internazionale grazie alla finale di Coppa Uefa persa contro il Liverpool di Kevin Keegan nel 1972/73 ma l’anno successivo arrivò la prima storica vittoria della coppa schiantando in finale il Twente per 5-1.
Udo Lattek subentrò a Weisweiler aggiungendo rigore tattico e concretezza agli assoli di una band dall’intesa già altissima. Come il suo predecessore si confermò a livello nazionale duellando col Bayer Monaco mentre in Europa conobbe anch’egli l’incubo del Liverpool perdendo 3-1 la finale di Coppa dei Campioni a Roma nel 1976/77. La sconfitta gettò le basi per il successo dell’anno seguente in Coppa Uefa, trofeo vinto anche grazie ai gol del nuovo acquisto Lienen contro Manchester City e Duisburg. Quella maglia consacrerà il Lienen calciatore e gli lascerà l’animo da puledro che ancora oggi conserva sotto il giaccone da allenatore.
L’amore per il Borussia non si spegnerà mai veramente e dopo un biennio felice all’Arminia Bielefeld (tranne per i 23 punti di sutura alla coscia) torna a Mönchengladbach per altre quattro stagioni prima di chiudere la carriera a Duisburg. Qui, insieme a Benno Möhlmann e Frank Pagelsdorf, fonda l’associazione di calciatori professionisti per tutelare quello che in Germania è diventato un mestiere vero e proprio molto più tardi rispetto al resto dell’Europa calcistica che conta.
Gioca cinque stagioni contribuendo a portare la squadra dall’Oberliga alla Bundesliga e nel frattempo studia per conseguire il patentino da allenatore e proprio a Duisburg inizia la sua seconda vita, quella in panchina.
Prosegue volando a Tenerife come vice di Heynckes e quando il suo maestro vola dal Real Madrid Lienen fa la valigia per tornare in Germania destinazione Hansa Rostock.
Idealmente quella valigia non la disferà mai e inizia un peregrinaggio imprevedibile per risollevare nobili decadute come l’amato Borussia Mönchengladbach e misurarsi con realtà impensabili come i rumeni dell’Oțelul Galați. In mezzo c’è un richiamo dal Tenerife, un tour in Grecia tra Olympiakos, AEK Atene e Panionios e il buon ricordo lasciato a Colonia, Hannover, Monaco 1860 e Arminia Bielefeld.
Due cose balzano all’occhio: è sempre tornato dove ha giocato e, pur senza legarsi a lungo, ha lasciato il segno ovunque sia andato.
A St. Pauli si può dire abbia fatto un vero e proprio miracolo perché per gli amanti delle statistiche ha preso in mano una squadra con 0,7 punti di media a partita e ha concluso il campionato raddoppiando a 1,4; oltre ai 24 punti collezionati nel girone di ritorno va sottolineato che la squadra sotto la sua guida ha segnato poco di più rispetto alle gestioni precedenti (22 reti contro 18) ma ha incassato meno della metà dei gol (15 rispetto a 36).
Sarebbe riduttivo spiegare le ragioni di questa salvezza solo attraverso i numeri ma aiutano a capire gli aspetti su cui ha lavorato unendo tatticismo pragmatico a grande cuore.
A poche ore dal suo arrivo, pur senza cambiare volto alla squadra, è riuscito a trasmettere fame di risultati e compattezza tra i reparti e la sconfitta con la corazzata Ingolstadt lo dimostra. La capolista faticò moltissimo ad aver ragione dei pirati che incassarono il gol a una manciata di secondi dalla fine, dopo aver raggiunto l’insperato pareggio con Schachten.
Autostima, concentrazione sulle palle inattive e difesa dietro la linea della palla, su questi capisaldi Lienen ha puntato per ottenere punti contro avversarie più attrezzate mentre negli scontri diretti ha trasmesso il coraggio di giocare a viso aperto, come successo contro l’Aalen alla seconda uscita. Infine ha strigliato il gruppo allontanando la paura di vincere che aveva fatto sfumare successi che sembravano in cassaforte.
Durante la pausa ha beneficiato di rinforzi fondamentali come Sobota e Koch e ha sfruttato il mese di gennaio per inculcare un modulo da cui non si è più mosso, ha capito che non c’era tempo per gli esperimenti e che non si poteva più tornare indietro una volta ripreso il campionato. Ha faticosamente ottenuto i primi risultati cementando il gruppo e catalizzandolo attorno alla propria figura, ha responsabilizzato senatori come Daube e Gonther, quest’ultimo letteralmente rigenerato.
Sugli esterni, unico reparto in cui la rosa abbondava, ha applicato una buona rotazione mentre in attacco ha puntato su Lennart Thy che è passato da oggetto del mistero prima della sosta a uomo-chiave nel finale di stagione. Ha corso dei rischi col carisma di chi non si volta indietro e non ha perso la calma nonostante un trittico di scontri diretti che ci ha visto sempre più lontani dalla Zweite Liga (sconfitte contro Fürth e Monaco 1860 e scialbo pareggio contro l’Aue).
In primavera, pur navigando in cattive acque, la squadra ha messo timidamente il naso fuori dalla zona calda e nello straordinario mese di maggio, quando la posta in gioco si è fatta altissima, è affiorata una compattezza che nemmeno pensavamo di avere (3 vittorie nelle ultime 4 partite).
Ha percorso su e giù la linea laterale sbuffando manco volesse entrare in campo, ha riempito pagine e pagine dell’inseparabile quaderno, ha riletto gli appunti dietro le mezze lune degli occhiali e ha preso per la collottola i giocatori quando necessario.
Quanto conta in una squadra l’allenatore? Difficile esprimere una percentuale ma in questa salvezza ci ha messo veramente tanto del suo. Il contratto scade a giugno 2016 e speriamo voglia onorarlo fino in fondo perché diciamo la verità: con uno così ci sentiamo tutti più al sicuro!