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IL MIO ISLAM

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Avevo vent’anni, ero al secondo anno di università. Come facoltà scelsi la più grossa supercazzola del terzo millennio: design. In giro c’è una quantità di designer che lavorano da impiegati che non avete idea. Il bello è che per fare quello che fanno sarebbe bastato un diploma. Me compreso.
In realtà volevo iscrivermi ad Architettura poi un ragazzo mi convinse che Disegno Industriale sarebbe stato molto più versatile. Vero.
Non l’ho mai ringraziato. Senza quella chiacchierata adesso probabilmente sarei sfruttato in qualche studio facendo un lavoro per il quale sarebbe bastato un diploma da geometra. Beh in fondo non c’ho guadagnato un granché. Però me la sono goduta e ho conosciuto un sacco di gente di tutta Italia. Non passavamo il tempo a fare plastici e colorare coi pennarelli, come molti pensano, ma c’era spazio per il divertimento.

Quindi grazie ragazzo pelato con gli occhiali conosciuto in Trentino, spero tu non sia in un ufficio con gente antipatica e il bonus Renzi come me. Ma forse la colpa è mia che non mi sono impegnato abbastanza.

All’epoca una squadra di Promozione mi aveva appena scartato, così cominciai a farmi le ossa in Seconda Categoria. Speravo di risalire la china e invece in Seconda Categoria ci sono rimasto quindici anni, salvo un paio di capatine in Prima. Ma questo non ha importanza.

La squadra era una società storica della mia città che avrebbe dovuto giocare nel vecchio stadio in centro ma la concessione del comune non arrivò mai e così ci trasferimmo in un campo lontano, fra il piattume delle risaie.

Guidavo da un paio d’anni ed ero passato da una Panda 750 ELX Fire verde a una Punto 1200 benzina. Un bolide in confronto. Guadagnavo anche due soldini, poco più di un rimborso spese in realtà, con cui alzai il budget per i regali di Natale.

Mi sentivo grande, inserito in un mondo adulto e responsabile ma in fondo guidavo solo un’utilitaria comprata dai miei genitori e studiavo a Milano da pendolare. Però studiavo design, convinto che il mondo avrebbe avuto bisogno di un pacco di ragazzi pronti a scervellarsi per dare nuova forma ai cucchiai.

I dirigenti mi chiesero di accompagnare un compagno di squadra senza auto. Si chiamava Salem ed era tunisino. Millantava esperienze in serie B nel suo paese, non so se fosse vero però è molto facile fare il figo all’estero dove nessuno ti conosce. Anch’io potrei andare in Galles e raccontare che in Italia sono stato un’ottima ala sinistra in serie C, fino alla rottura del crociato da cui non mi sono mai ripreso completamente. Che ne sanno che non sono mai finito sotto i ferri e che sono l’unico mancino al mondo senza dinamite nel piede. Che ne sanno che la velocità non l’ho persa per un infortunio ma non l’ho mai avuta! Altrimenti mica mi avrebbero scartato in Promozione. Ma sto divagando di nuovo.

Una cosa però è certa, Salem era un portiere con un fisico della madonna. Gli fecero fare il secondo, onestamente non so perché visto che il primo era vecchio e nemmeno troppo bravo. A dirla tutta il titolare mi stava anche discretamente antipatico. In una cosa sono bravo dentro e fuori dal campo: so fare gruppo. Ma con quel portiere proprio non c’era dialogo.

Salem invece era un pezzo di pane. Era arrivato da poco e parlava veramente male in italiano, la cosa mi dava quasi fastidio. “Sforzati un po’!” mi venne da dire ma poi pensai “Non imparerei l’arabo nemmeno studiandolo giorno e notte”.

Ovviamente non aveva la patente e abitavamo vicini. Lo passavo a prendere e lo riportavo a casa. Non mancava mai, nonostante il mister preferisse l’altro, il vecchio antipatico. Strano perché era un buon mister, forse glielo impose la società. Una volta in partitella feci un gol straordinario a Salem scartandolo con la suola alla Zidane. Incredibile per uno che aveva scarso feeling col gol come me. Peccato. Avrei tanto voluto segnare quel gol al titolare.

Salem era alto con due spalle così e il torace largo come una porta. Era bravo coi piedi, aveva un rinvio lunghissimo e potente, era tecnico, reattivo, giovane, avrà avuto due o tre anni più di me. Aveva solo un difetto: ogni tanto disconnetteva e combinava una papera o un’uscita azzardata. Dovete sapere però che in Seconda Categoria i portieri non escono, non è mica come in televisione. E’ un gesto difficile e rischioso quindi interpretai quelle cappelle come un eccesso di personalità. Il vecchio non ve lo dico nemmeno, di uscire non se ne parlava proprio, sembrava legato con una corda ai pali della porta. E poi era muto. Richiamava di più la squadra Salem col suo italo-tunisino.

Faceva l’operaio in una ditta a trenta chilometri da casa e siccome non c’erano colleghi in zona ci andava in motorino. Tutti i giorni iniziava alle sei. Sorrideva sempre. Vi assicuro che le cinque del mattino nell’inverno della bassa padana sono tutto fuorché qualcosa che ti fa venir voglia di sorridere. Guidava un Ciao mezzo sgangherato, quindici anni fa non c’era bisogno di un patentino per ruotare una manopola e tirare un freno. Freddo, gelo, ghiaccio, nebbia. Non saltava un giorno di lavoro né un allenamento.

Il nostro tragitto durava circa mezz’ora. Bellissimo. Mi raccontava della Tunisia, del loro calcio, del nord Africa, della loro cultura. Era mussulmano credente e praticante. Ramadam e tutto il resto. Molto più ligio del mio cattolicesimo. Non ricordo bene la sua storia ma non era strappalacrime, senz’altro dura ma non da Festival di Cannes. Poco lavoro, pochi soldi, il classico cugino che aveva provato l’esperienza e grazie a qualche contatto eccolo sulla nave verso il Belpaese. Divideva l’appartamentino con altri.

Dopo poche settimane diventammo amici, ci scambiammo i numeri di telefono. Quell’anno giocai pochissimo, falcidiato da infortuni, acciacchi e distorsioni alla caviglia, quindi oltre ad essere fianco a fianco sulla Punto per andare all’allenamento ci ritrovavamo spesso fianco a fianco in panchina alla domenica. Il ricordo di quella stagione è legato principalmente a Salem.

Con gli altri compagni mi integrai subito, quasi tutti “anziani” che scherzosamente lo soprannominarono Vincenzo Salem (per via dell’attore napoletano Vincenzo Salemme).

Inevitabilmente una sera il confronto si spostò sul piano religioso, disse che rispettava molto la figura di Gesù, lo considerava un profeta e mi snocciolò i capisaldi dell’Islam, bene o male gli stessi del buon cristiano. Non ero stupito, non ho mai creduto che una religione potesse mettere un uomo contro l’altro. Il potere, il petrolio, il denaro sì.

In quel periodo L’odio di Mathieu Kassovitz mi folgorò. Il film racconta la storia di tre amici appartenenti a tre etnie differenti, un africano, un ebreo e un magrebino, che vivono nelle banlieue parigine squattrinati e senza prospettive. E’ una parabola drammatica e realista di cittadini ghettizzati dalla nascita che per anni alimentano l’odio verso qualsiasi autorità. Un sentimento dal quale è impossibile uscire senza deporre l’ascia di guerra. L’odio chiama l’odio di una società che mentre pensa di progredire in realtà precipita senza preoccuparsi della caduta. Ma il problema è l’atterraggio.

Una pellicola attuale, girata nel ’94 in bianco e nero, senza effetti speciali e interpretata da attori non professionisti. Non c’era bisogno d’altro per trasmettere un messaggio così chiaro.

Rividi in Salem un candore che quasi mi commosse. Metteva quei pochi soldi per mandarli alla famiglia e nonostante la vitaccia che faceva non ce l’aveva con nessuno.

A Natale riuscì a tornare in Tunisia per qualche giorno e mi portò due scatole di datteri. Me li regalò perché gli avevo raccontato che ai miei genitori piacevano molto. Glielo dissi così, senza aspettarmi niente in cambio e lui non solo se ne ricordò ma me li comprò pure.

Non sono migliore di quelli che dicono affondiamo i barconi perché lascio l’euro del carrello al senegalese fuori dal supermercato, sono migliore semplicemente perché ‘affondiamo i barconi’ non lo penso nemmeno. E non sono migliore rispetto a chi dice bombardiamoli tutti perché ho una foto di Sarajevo in casa, sono migliore semplicemente perché a me danno fastidio pure quelli che non dicono grazie o per favore al cameriere solo perché è nero. Perché negro non è un colore.

Non ho gli strumenti culturali, storici e politici per capire cosa stia succedendo, sono solo uno che portava volentieri Salem a fare allenamento. E non perché era un povero tunisino che faceva la spesa al discount, la faccio anch’io del resto, ma perché mi piace conoscere gente nuova. Certo spesso la diversità spaventa.

Un mio amico mi ha appena confessato la sua preoccupazione per la figlia che crescerà nel terrore. Forse sì. Non sa che fare. Gli ho risposto che può solo insegnarle che la compagna di classe nigeriana non è cattiva e suo padre non ha rubato il lavoro a un italiano. Tanto meno a uno come me che invece di disegnare scale in ferro battuto poteva imparare a farle. Lo dico qui, se esiste la reincarnazione voglio fare l’artigiano.

Il mio Islam è Salem.

Ho paura, come tutti, delle conseguenze di Parigi, di un’organizzazione terroristica che non risiede in un paese, in una città o in un palazzo. Incontrollabile. Però ho anche paura dei tweet populisti di Salvini. Credo che lui L’odio non l’abbia mai visto.

Chissà dov’è Salem adesso. Chissà se è rimasto in Italia, se si è sposato, se è tornato a casa. Mi piacerebbe rivederlo, fare due palleggi e un altro viaggio in macchina insieme per chiedergli cosa pensa di tutto questo. Sono sicuro che sarebbe scioccato e so che la sua timidezza gli avrà fatto abbassare ancora di più lo sguardo per non incrociarlo con l’italiota di turno che pensa tornatene al tuo paese.  

Gli ultimi tempi si era pure messo a studiare per prendere la patente pur non avendo i soldi per comprarsi la macchina. Che tipo Salem.

Poco fa ho letto ‘Media e potere’ di Noam Chomsky e ricordo una storiella in cui al tavolo si siedono un politico, un cittadino e un extracomunitario. Si divino dieci monete, il politico ne prende sei, il cittadino tre e l’extracomunitario una. Il politico si rivolge al cittadino dicendo “Hai visto quello? Guarda che ti vuole fregare una moneta per averne due come te!”.

Bisogna sempre trovare un nemico.

Ma io non ne voglio. La faccio semplice? Forse. Ma se tutti educassero i propri figli a rispettarsi l’un l’altro la diffidenza sparirebbe. La faccio utopistica? Sicuramente. Ma preferisco non dire affondiamo i barconi. Non so cosa potrebbe succedere né cosa bisognerebbe fare.

Adesso è troppo tardi. Adesso è un problema.
Non voglio questi problemi. Ho già i miei.

Voglio solo sapere dove gioca Salem.

“C’è qualcuno che va alla messa
e si fa anche la comunione,
poi se vede un marocchino per strada
vorrebbe dargliele con un bastone.
Io no”

(Io no – Jovanotti)




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