Ti immagino sul divano a fianco a tua moglie, nella stessa intimità di quella sera in cui hai messo il lieto fine a una delle storie più incredibili di questo gioco. Ti vedo impegnato a risolvere l’atavico dubbio se guardare un film o invitare degli amici a cena. Come una coppia qualsiasi. Ti immagino così. Amaramente rassegnato all’idea che queste cose fanno parte del calcio, come hai dichiarato l’indomani il tuo esonero.
Ma non fanno parte di noi mister, che tra i valori più importanti mettiamo riconoscenza, coerenza e gratitudine. Noi che crediamo ancora nelle favole mentre lo spettacolo va troppo in fretta per aspettare fino a mezzanotte e scoprire se la carrozza diventerà davvero zucca.
Noi che speravamo che quegli uomini, diventati eroi sul campo sotto la tua guida, ti avrebbero difeso ad ogni costo. Noi che pensavamo che quegli eroi, tornati uomini, si sarebbero barricati con te nello spogliatoio pur di non lasciarti andare. E invece si scopre che non hanno fatto poi molto per opporsi ai dettami della società. Se così si può chiamare una dirigenza capeggiata da un tycoon thailandese dal nome simile a un codice fiscale. Vichai Srivaddhanaprabha, nonostante l’undicesimo patrimonio più ricco del mondo, passerà. La tua impresa no.
Per noi, che misuriamo le variabili di spazio e tempo in base a quanto alzino la temperatura del nostro cuore, la stagione del Leicester non sbiadirà mai.
Preferisco immaginarti così, preferire una cena tra amici piuttosto che rodersi il fegato di fronte ai successi che il Leicester ha inanellato dopo il tuo esonero.
Non c’è dato sapere cosa sia successo. La verità la conoscono soltanto i protagonisti dello spogliatoio, luogo sacro per chiunque l’abbia vissuto, sedimentando il significato più profondo della parola gruppo, che anche per un ex giocatore come me, dilettante ma pur sempre giocatore, rappresenta un’isola bagnata in ogni costa dalle confidenze rivelate a tavola o tra una serie e l’altra di ripetute massacranti. Saremmo voluti approdare tutti sull’isola Leicester qualche mese fa. Oggi si scopre un posto come tutti gli altri. Purtroppo.
Ecco allora che tutte le storie che condivano la squadra assumono il contorno delle bufale. Non che ci abbia mai creduto, sia chiaro. Vardy è stato un operaio ma come si può pensare che un professionista di quel livello, pur avendolo raggiunto tardi, ti citofonasse alticcio per cantarti una serenata dopo una vittoria? Son storie buone per Calciatori Brutti e Chiamarsi Bomber.
Ammirevole il rifiuto di andare all’Arsenal; Jamie Vardy ha preferito giocare col Leicester in Champions, un palco sul quale mai avrebbe pensato di salire con la maglia delle Foxes. Ma allora perché non è entrato nella stanza dei bottoni per difenderti a spada tratta?
Forse perché queste scene si vedono solo nei film. O forse perché non esiste nessuna stanza dei bottoni a Leicester. Esiste un proprietario che vive a Bangkok e finita la partita sale sul suo elicottero per tornare alla pista di decollo del suo aereo privato. Questo sì che succede.
Un anno fa a quest’ora speravamo che l’anatroccolo Leicester si trasformasse in cigno. Oggi quell’emozione sembra lontanissima, fagocitata da un calcio che non fa in tempo a digerire un’impresa che ha già voglia di altre storie, altre facce. Io mi gusto la tua. E lo farò ancora per molto.
So che a cena coi tuoi amici sotto sotto starai pensando alla squadra. Ce la farà a battere l’Atletico Madrid ed entrare tra le prime quattro d’Europa? Tu intanto l’hai portata sul tetto d’Inghilterra e tra le prime otto in Champions, perché anche se nel ritorno contro il Siviglia c’era un altro sulla tua panchina, quel qualcun altro ha avuto quel privilegio solo grazie a te. E mi illudo, pensando che i tuoi quella sera abbiano messo in campo la rabbia per la tua assenza.
Il presidente Vichai Srivaddhanaprabha parla di bene del club, di un futuro migliore dopo 133 anni di storia, ma nel 2012 ha emesso 103.000.000 di azioni del valore di una sterlina per colmare un debito salito fino a 30 milioni, aggirando così il fair play finanziario. Oggi parla di programmazione.
Non passino per razzismo calcistico le mie parole ma in Thailandia lo sport nazionale è il Muay Thai.
Diego Armando Maradona, intervistato da Fabio Fazio qualche tempo fa, si chiese se Thoir conoscesse la differenza tra il pallone da calcio e quello da basket, considerando che il magnate indonesiano aveva investito anche nei più popolari sport americani.
Ma il Pibe in fondo è solo un ex tossicodipendente a cui hanno applicato un bypass gastrico per combatterne l’obesità. Intanto, mentre i suoi detrattori lo vorrebbero rinchiuso a vita in una clinica, gli effetti di Thoir sull’Inter si sono visti.
Sempre in quell’intervista riguardo americani aggiunse che si sentono i poliziotti del mondo. Ma in fondo non siamo tutti americani. Intanto, gli stessi che vorrebbero Maradona in cura, si godono l’effetto Trump.
Le volpi di Leicester stanno giocando la Champions con la stessa sfrontatezza con cui hanno vinto la Premier da Cenerentola. In campionato, una volta compiuto il miracolo, si sono svuotati di qualsiasi stimolo. In Champions hanno trovato il godimento di partecipare da esordienti al ballo delle grandi d’Europa. Non la vinceranno, d’accordo, passeranno il turno o forse no. Di certo non sarà la stessa cosa che vederli con Ranieri sbracciarsi lungo la linea laterale, esultare come difficilmente pensi possa fare un ultrasessantenne, regalare sorrisi rassicuranti che solo un uomo di quell’età può trasmettere.
In campionato il Leicester si salverà, ma si sarebbe salvato comunque. Ma non sarà la stessa cosa.
Bastava aspettare, bastava un “Così non ci siamo mister. Finiamo la stagione e poi ognuno per la sua strada”. Bastava un po’ di educazione, un po’ di garbo. Bastava un po’ di rispetto in un ambiente che non ne riserva per nessuno, ormai.
Fanno piacere i tweet solidali dei colleghi, la felpa con le iniziali del tuo nome indossata da Mourinho in conferenza stampa il giorno dopo il tuo esonero. Ma non basta.
Ti immagino così, mentre finita la cena sparecchi con tua moglie ascoltando “Non è tempo per noi” del Liga, canzone pubblicata guarda caso nel ’90, quando portasti il Cagliari in A dopo averlo preso dalla serie C. Giusto per ricordarlo a chi ti giudica un mediocre eterno secondo.
Se rappresenti la mediocrità allora con l’eccellenza non voglio avere a che fare. E se la carriera che hai fatto ti confina a eterno secondo, allora non voglio vincere mai.
Ieri sembra lontanissimo e la stagione scorsa un secolo fa. Non per tutti però. Non per noi che di questo tempo non ci curiamo.
Non per noi che viviamo nel nostro, perché nel loro non è tempo per noi. E forse non lo sarà mai.
Fuori moda, fuori posto, insomma sempre fuori dai.
(“Non è tempo per noi” – Luciano Ligabue)