“Viaggiare nel tempo è troppo pericoloso. È meglio che mi dedichi a studiare l’altro grande mistero dell’universo: le donne”. Parole e musica del Dottor Emmet Brown in Ritorno al Futuro parte seconda. Se l’avete visto ve lo ricorderete senz’altro. Se non l’avete visto passate l’intervallo dietro alla lavagna. Non è bastata una trilogia a un illuminato come Robert Zemeckis per insegnarci qualcosa sulle donne ma c’è un cantante italiano, passato dal punk a San Remo, che in poche righe ha descritto tutto o quasi quello che c’è da sapere. Come sia stato possibile per Enrico Ruggeri scoprire Quello che le donne non dicono non c’è dato saperlo. Accontentiamoci del fatto che sia arrivato dove Doc Brown e la Delorean volante non ce l’hanno fatta. Enrico Ruggeri, a differenza mia, non avrà riso di fronte a qualche stupido meme che girava alla vigilia del Mondiale di calcio femminile. E non avrà mai dubitato sulla bontà del loro gioco. Per questo, siccome dietro la lavagna ci sono appena stato, mi batto il petto tre volte e chiedo redenzione a voi, mie poche ma affezionate lettrici: mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa.
Quando ho visto la partita inaugurale tra Francia e Corea del Sud, tra un buon primo e un ottimo secondo cucinato da mia suocera, non ho avuto il coraggio di ammettere fino in fondo a me stesso che quello che stavo vedendo fosse uno spettacolo piacevole. Troppe scorie nel mio gigantesco IO di maschio alfa cresciuto a pane, Holly e Benji e sintesi del campionato argentino.
Poi sono scese in campo le nostre e le ho seguite distrattamente mentre tra una costina e una birra da 66 imbastivo una grigliata con altri maschi alfa. Quelli dei meme stupidi, le battute in chat e fesserie varie. Tornato a casa ho scoperto che il successo all’ultimo respiro contro l’Australia è stato tutto fuorché scontato, dopo vent’anni di assenza dal Mondiale. Così la mia curiosità è cresciuta finché, dopo aver asfaltato la Giamaica, guardando la partita contro il Brasile ho setacciato la rete alla ricerca di ogni informazione possibile, scoprendomi irreversibilmente contagiato. Soprattutto da una di loro.
Ha un nome e un cognome che restano in testa: otto lettere, quattro consonanti e quattro vocali, sempre la A. È Sara Gama o se preferite saragama tutto attaccato, semplice e asciutto come lei. Piaccia o meno a qualche poltrona in Parlamentoè il vessillo di una società che sta cambiando. Ma non è questo a renderla il personaggio della nostra squadra. E nemmeno la fascia da capitano, o meglio non solo. Ma la pettinatura afro, lo sguardo malinconico e apparentemente assente alla Basquiat e quel 3 che porta sulla schiena con nostalgico Made in Italy. Sì perché Sara Gama se c’è da spazzare spazza e, siccome alle bambole preferiva il breviario del buon difensore, se si trova con la palla tra i piedi in un fazzoletto d’erba tra la linea laterale e l’avversario, fa la cosa più saggia che si possa fare: la spara in tribuna. In barba al tiki taka e ai difensori pensanti dell’era moderna. D’altronde è lei stessa a definirsi un terzinaccio. Signori, alleluja! Alleluja!
Timida e riservata, si è commossa di fronte a Mattarella leggendo il suo discorso in Quirinale durante la celebrazione dei 120 anni della FIGC. Ha impreziosito l’abito con un fiocco da scolaro anni ‘50 e un’aria educata e genuina fuori moda in questo calcio. Ha sottolineato che il calcio femminile ha spento molto meno candeline e che la loro storia è molto più giovane. E poi non è bello dare 120 anni a una signora. Bella battuta. Dev’essere simpatica a riflettori spenti. Davanti alle telecamere invece ti può affilare come il vento della sua Trieste. Come quella volta in cui uno pseudo-giornalista le ha chiesto come ci si sente ad essere l’unica nuova italiana della nazionale e l’ha freddato con un “Non sono una nuova italiana. Lo sono proprio”. Ma lei è la prima a scherzare sul colore della sua pelle e riconoscere che il sangue congolese del padre le ha regalato un’esplosività fisica che altrimenti non avrebbe mai avuto. Tò, è anche sincera. L’Africa del padre e il Friuli della madre. Sara Gama è la miscela di un’Italia che non c’era: carnagione caffelatte, accento istriano, una laurea, quattro lingue e il rinvio lungo.
La Mattel l’ha persino eletta fonte di ispirazione per le future generazioni femminili dedicandole una Barbie, rigorosamente con scarpini e maglia bianconera. Alla Juve però ci è arrivata nel pieno della maturità, dopo Scudetto, Coppa Italia e Supercoppa col Brescia e un’esperienza breve ma intensa al PSG, dove si è resa definitivamente conto di quanto sia indietro il sistema in Italia. In Francia contributi, malattia, disoccupazione, maternità mentre da noi le ragazze promettenti mollano per un’offerta di lavoro. Da noi se rimangono incinta il contratto (se così si può chiamare visto che si tratta di dilettantismo sorretto da rimborsi spese) viene rescisso. Sara invece di fuggire ha deciso di cambiare le cose dall’interno, vestendo i panni di consigliere federale e i frutti si vedono. Oggi durante la gravidanza i rimborsi spese vengono sospesi ma almeno dopo il parto si può rientrare e lo Stato per la prima volta ha stanziato un fondo di mille euro per le sportive che fanno un figlio.
I maschi alfa penseranno che attorno a un movimento con poco interesse girano pochi soldi, ergo: niente professionismo. Ma gli attivisti come Sara servono a sensibilizzare le menti pigre e lei, che parla da ambasciatrice consumata, alla domanda su un’Italia poco accogliente risponde: “Di fronte al fenomeno degli immigrati siamo stati lasciati soli dal resto dell’Europa, e molti italiani hanno dato il meglio. Quelli che vediamo razzisti il più delle volte sono soltanto ignoranti”.
Frecciate? No, macigni.
Ha arricchito il palmares con una parentesi negli States con la maglia dei Pali Blues. Non male per una ragazzina che ha iniziato a giocare al parchetto coi maschi. Finché un giorno un amico le ha chiesto di provare nella sua squadra e da lì non si è più fermata. Ora lei e le sue compagne sono a un passo da entrare tra le prime otto del mondo. Potrebbe finire tutto agli ottavi, dopo un girone chiuso inaspettatamente al primo posto (parafrasando le parole del CT Milena Bertolini), eppure non cambierebbe nulla. Hanno tenuto testa al Brasile dimostrando di stare solo un gradino più in basso rispetto a Francia e Stati Uniti. E cosa vuoi che sia un gradino per chi ha fatto tanta strada, superando la diffidenza di chi pensava che il calcio fosse una questione da uomini, di chi ironizzava sulla loro sessualità e le credeva goffe e maldestre. Hanno una sfrontatezza che non si vede neanche nei campi spelacchiati di provincia. I doppi passi non mancano e nemmeno i colpi di tacco. Alla faccia di chi pensava che di tacco conoscessero solo quello a spillo.
Sara e le sue compagne piacciono. E piacciono tanto. Pochi social, stipendi da bonus Renzi e zero tatuaggi. Sono le ragazze della porta accanto che vien voglia di tifare nonostante il livello sia ancora distante dall’emisfero maschile, che pure dà buone vibrazioni intendiamoci: la bellitalia del Mancio, l’Under 17 vicecampione d’Europa, l’Under 20 quarta al Mondiale e l’all in di questa sera dell’Under 21 contro il Belgio in cui o si fa l’Italia o si muore.
Poi ci sono loro, quelle che sembravano le comparse dell’estate azzurra e si sono guadagnate il centro del palco. E gli uomini stanno a guardare. Senza capirle, ovvio. Per quello chiedere a Ruggeri.
“Ricordati che puoi essere tutto ciò che desideri”
Sara Gama per lo spot Juventus con Barbie