Il 13 maggio esce “St. Pauli siamo noi”, il lavoro di Marco Petroni. Romano, classe ’79, laureato in storia contemporanea all’Università “La Sapienza” di Roma, è un tifoso di curva ma soprattutto insegnante e operatore sociale. Frequenta e tifa St. Pauli dal 2004 e questo è il suo primo libro edito da Derive Approdi.
E’ un viaggio che parte dalle origini del club fino ai giorni nostri, passando per l’Hafenstraße e la sottocultura punk che ha dato vita al fenomeno kult sanktpauliano. Sono pagine, usando le sue parole, ‘per tutti quei tifosi che credono in un calcio e in un tifo liberi dalle discriminazioni e dal business’.
Perché la voglia di scrivere un libro sul St. Pauli?
L’idea del libro risale a circa 4-5 anni fa al ritorno da un viaggio ad Amburgo insieme ad altri amici. Ma era qualcosa che mi ronzava in testa già da parecchio tempo. Sicuramente ha inciso la curiosità, fin dalla mia prima volta a St.Pauli, di conoscere a fondo la storia di questa squadra e di questo quartiere. Quando mi capitava di parlare del St.Pauli la maggior parte delle persone conoscevano soltanto il teschio senza effettivamente sapere cosa ci fosse dietro. Inoltre molto spesso leggevo articoli su giornali, anche importanti, dove tutto il portato di questa società e di questa tifoseria veniva ridotto ad un aspetto folcloristico che aveva l’effetto di deformare la realtà dei fatti e di rendere sterile l’esperienza del St.Pauli. La spinta decisiva nell’affrontare questa avventura è arrivata però dalla consapevolezza di poter far affidamento sui tanti amici che fanno parte della comunità del St.Pauli e che mi hanno sostenuto e incoraggiato dal primo momento. Senza il loro aiuto sarebbe stato impossibile scrivere il libro.
Da quanto tempo segui questa squadra così anticonformista?
La mia prima volta ad Amburgo risale all’agosto del 2004. Stavo facendo un viaggio in inter-rail e capitai a St.Pauli il giorno di una partita (contro l’Holstel Kiel). Quando vidi che lo stadio era a pochi metri dall’ostello mi precipitai a prendere un biglietto. Ne è valsa la pena. Da quella volta sono tornato una ventina di volte seguendo il St.Pauli in casa e in trasferta.
In particolare cosa ti ha impressionato della città e del quartiere di St. Pauli?
Ho un debole per le città portuali. Ho passato molte ore ad osservare le operazioni di scarico delle navi container e il passaggio delle navi seduto ai tavolini dei vecchi pub, vicini al porto, che negli anni ’50-’60 ospitavano le scorribande dei marinai. Ce ne sono alcuni che sono rimasti pressoché uguali. L’altro elemento che colpisce di St.Pauli a mio avviso è l’estrema versatilità e le mille contraddizioni presenti in poche centinaia di metri. Una zona dove c’è veramente di tutto.
Che cosa ti ha avvicinato a questo club?
E’ una domanda che mi pongo spesso. Il motivo che mi ha spinto in questi anni a ritornare ad Amburgo tante volte, al di là di ciò che rappresenta il St.Pauli, è la comunità dei tifosi. Quando vai a St.Pauli, quando entri dentro al Millerntor, dopo 5 minuti ti senti parte del St.Pauli e del quartiere. La magia di questa tifoseria è proprio questa. In questi anni ho conosciuto tantissime persone con le quali si è creato un rapporto speciale. Non solo con i tifosi del St.Pauli ma anche con quelli della squadre vicine. Penso agli amici di Terni, di Bergamo, di Babelsberg, del Celtic, dell’Hapoel Tel Aviv e di tante altre squadre. Tutto ciò avviene perché il St.Pauli rappresenta molto più di una squadra di calcio. Ce lo dice la storia di questa tifoseria. E’ un porto franco per tutti quei tifosi che credono in un calcio e in un tifo liberi dalle discriminazioni e dal business.
Quali aspetti affronti nel libro? Come hai voluto strutturarlo?
Nel libro cerco di raccontare due storie: quella del quartiere e quella del club. E’ impensabile poter parlare del St.Pauli FC senza prendere in considerazione la storia del quartiere. Credo che per dare il giusto peso ad un qualsiasi tipo di storia si debba descrivere il contesto storico nel quale essa si svolge. Il passaggio cruciale è sicuramente quello degli anni ’80 con l’esperienza politica dell’Autonomia tedesca e la sottocultura punk. Il punto di riferimento dei tifosi della Gegengerade erano le case occupate dell’Hafenstraße, molti di loro provenivano da lì. E sui gradoni di quella tribuna hanno portato tutto ciò che si respirava nel quartiere. Non mi sono accontentato delle poche righe che i libri in lingua tedesca e inglese sul St.Pauli dedicano a quella stagione e allora ho allargato la ricerca altrove. Sui quotidiani di Amburgo per avere il quadro dei fatti di cronaca, su testi di storia, politica, sociologia, su testimonianze dirette di chi ha vissuto all’Hafenstraße e dei punk dell’epoca. Il libro percorre in maniera cronologica tutta la parabola del mondo St.Pauli fino ai nostri giorni cercando di bilanciare storie di campo, di curva, ma anche di strada.
Alla luce del tuo lavoro qual è il tuo giudizio sul “sistema calcio” italiano?
Il sistema calcio in Italia ha raggiunto un livello imbarazzante, come imbarazzanti sono i personaggi che lo guidano (vedi Tavecchio e Lotito). E’ la storia di un fallimento generale. E’ un argomento molto complesso che non può essere spiegato in poche battute. Tuttavia credo che il nodo principale di tale fallimento consista nel non aver mai coinvolto la figura del tifoso che invece è percepito esclusivamente come un cliente. Questo avviene perché le società di calcio sono strutturate giuridicamente per essere delle aziende, nelle quali la voce “tifoso” è importante soltanto quando spende denaro per la propria passione. Giudico fallimentare questo sistema perché ha prodotto, insieme ad una serie di norme repressive (anch’esse imbarazzanti), lo svuotamento degli stadi e questa è la logica conseguenza dell’aver puntato tutto sugli introiti delle pay-tv.
In cosa dovremmo ispirarci al modello sanktpauliano?
Quando parliamo del modello sanpauliano bisogna innanzitutto considerare il fatto che in Germania le società calcistiche hanno uno “status giuridico” completamente diverso. In Germania le società sono delle associazioni (e.V) (in Italia delle s.p.a) e all’interno di questo schema la voce del tifoso-socio ha un peso notevole. Da notare che questo vale anche per le corazzate come Bayern Monaco e Borussia Dortmund. Il problema semmai riguarda il grado di organizzazione e partecipazione che i tifosi-soci riescono a darsi. Da questo punto di vista il St.Pauli è da sempre un modello. Non è un caso che gran parte delle battaglie affrontate, nel corso degli anni dalla tifoseria del St.Pauli, siano state assunte a livello nazionale dalla federazione. Mi riferisco alle norme contro il razzismo, la xenofobia, l’omofobia, e la quota obbligatoria di posti in piedi negli stadi, solo per citarne alcune. Stando così le cose si capisce perché grande successo stiano avendo, in Italia, le cosiddette esperienze di “calcio popolare”, che ripartendo da zero stanno costruendo un impianto societario e partecipativo assolutamente alternativo a quello professionistico.
Sarebbe poi interessante riflettere su come storicamente i “nuovi tifosi” del St.Pauli degli anni ’80 abbiano completamente rivoluzionato il modo di stare dentro uno stadio e di tifare rispetto alle tendenze e alle pulsioni razziste che nella maggior parte degli stadi italiani ancora persistono.
Cosa pensi delle realtà di calcio popolare che si stanno diffondendo in Italia, seppur a livello amatoriale e dilettantistico?
Come accennavo sopra, il “calcio popolare”, tra mille difficoltà, rappresenta la più grande forza di opposizione alla deriva commerciale e neoliberista dell’industria calcio, o almeno un grande tentativo. Al momento questa esperienza sembra aver assorbito tutta quella carica conflittuale che qualche decennio fa esprimeva, a suo modo, il contesto ultras. E’ un’esperienza in grande evoluzione che va letta all’interno di un movimento più ampio come quello dello “sport popolare”.
Su questo argomento scrissi un articolo per Dinamo Press quando organizzammo questo evento:
http://www.dinamopress.it/news/se-il-st-pauli-sbarca-a-san-lorenzo
Infine una domanda di calcio giocato. Come vedi il finale di stagione? Credi nella permanenza in Zweite Liga?
Dal punto di vista calcistico i dirigenti del St.Pauli negli ultimi anni hanno dimostrato parecchi limiti. Hanno stabilito una linea societaria quanto meno discutibile e non in linea con il dna del club. Quella cioè di affidarsi alle prestazioni di calciatori tedeschi della zona di Amburgo o del nord della Germania. Nell’ultimo anno poi, hanno deciso di costruire una squadra fatta esclusivamente di giocatori giovanissimi, senza l’apporto fondamentale di qualche “veterano”. La mancanza di un punto di riferimento come Fabian Boll si è fatta sentire eccome. Ad oggi può succedere ancora di tutto. Si deciderà tutto nelle ultime giornate. Speriamo di poterci salvare e di poter cambiare pagina, col nuovo presidente Oke Göttlich, un presidente che proviene dalla base della tifoseria e su cui sono riposte grandi speranze.
Non c’è altro da aggiungere se non consigliarvi di seguire la pagina Facebook “St. Pauli siamo noi” per essere aggiornati sulle presentazioni che Marco farà del suo libro. La prima è il 6 giugno a Roma dove ci saranno anche due esponenti della tifoseria attiva del St. Pauli. Non male come inizio.
Nell’immagine il disegno di Zerocalcare e la locandina di Ortensia Perri