“…quando il mondo era l’arca e noi eravamo Noè”.
Estate ’96. Mentre i Fool’s Garden incidono “Lemon Tree” scalando qualsiasi classifica, io inizio a scoprire le due facce dell’adolescenza.
I due di picche incassati dalle prime cotte lasciano spazio all’impareggiabile goduria di sentirsi figo per aver montato sulla mountain bike le ”corna”, una sorta di prolungamento del manubrio utile a facilitare le impennate più tamarre.
Tra le icone di quell’estate c’è l’album “Così com’è” degli Articolo 31, cassettina duplicata da un amico coi titoli rigorosamente scritti a mano nel foglietto interno alla custodia. Pezzi ascoltati e riascoltati alla nausea, tanto da spingermi a fare un ‘best of’ delle mie preferite e incidere una copia con “Il Funkytarro” registrata su tutto il lato A e il lato B. “Tranqi Funky”, “Domani”, “Fatti un giro”, Così e cosà”, “Latin lover”, “Con le buone”, “L’impresa eccezionale” con il featuring di Lucio Dalla, roba che nemmeno riunendo i migliori rapper della scena odierna, e si parla di tempi in cui l’hip hop se lo filavano in pochi.
Poi c’è “2030”, pezzo in cui J-Ax immagina un futuro freddo e cibernetico e ripensa nostalgicamente alla voglia di sentimenti, o almeno di provarci, degli anni ’90. Sembra azzardato bollare quel decennio come indimenticabile, visto che siamo solo a metà, eppure col senno di poi non c’è andato tanto lontano.
Canta “ormai si parla solo tramite internet” e ci siamo, oppure “l’Italia ha venduto il Colosseo alla Francia” e ci manca poco.
Esorta i fan a salpare verso il futuro custodendo gelosamente le ricchezze del presente come fossero le specie animali dell’arca di Noè.
Musica, prime libertà, interminabili partite a pallone, tutti ingredienti nello stesso pentolone e a ripensarci anche il calcio in quegli anni ha regalato tante icone. Senza i social a lanciare un messaggio i giocatori avevano un solo momento per esprimersi liberamente: i dieci secondi dopo il gol. E c’è qualcuno che non li ha certo buttati via. Ripercorriamo la top five delle migliori esultanze della serie A più bella di sempre.
5 – Delvecchio
Raro esempio di scambio di attaccanti conveniente a entrambe le squadre. Nel gennaio del ’95 Marco Branca passò all’Inter e Delvecchio vestì la maglia giallorossa. Sembravano inceppati ma cambiando aria iniziarono a segnare a raffica. Unico particolare: gli otto anni in meno di Delvecchio dimostrarono la poca lungimiranza della dirigenza nerazzurra. Il trentenne Branca appese le scarpe poco dopo mentre Delvecchio si fermò dieci anni nella capitale. Non fu amore a prima vista perché la piazza si aspettava un colpo sensazionale e accolse coi fischi l’arrivo dell’under 21 che alla prima occasione s’inventò un gesto epico: mano alle orecchie come dire “E adesso? Scusate non vi sento più!”. Dopo un chiarimento coi tifosi diventò un bel modo per invitare la curva ad alzare i decibel.
Soprannominato “Cammellone” per via dei lineamenti non proprio fini, ci ha fatto impazzire nella finale di Euro 2000 con un gol che sarebbe passato alla storia se Wiltord non ci avesse purgato all’ultimo secondo, coi nastri tricolore già sulla coppa.
E’ stato per anni il capocannoniere del derby capitolino prima di essere superato da un selfie di Totti, uno che tra cucchiai e pollici in bocca di tormentoni se ne intende.
4 – Ronaldo
Primo calciatore a convincere un’azienda a vestire tutta la squadra. La Nike ancora oggi sponsorizza l’Inter ma non tutti ricordano che le prime magie milanesi il Fenomeno le mostrò con una casacca Umbro oversize. Agli americani evidentemente non bastava e gli dedicarono, prima volta nel calcio, un’intera linea di abbigliamento. Era l’inizio dei nomi sulla schiena legati a doppio filo al numero di maglia e così Zamorano cedette il 9 a Ronnie. Nacque la R9 ma anche quel geniale segno “ + ” col cerotto tra l’1 e l’8 del cileno per sottolineare che l’abito non fa il monaco.
Cosa aggiungere? Niente, a parte che unendo tecnica sopraffina e velocità massima Ronaldo inaugurò la nuova era di questo sport. Qualche scaltro pubblicitario non si fece scappare l’idea di immortalarlo nella sua tipica esultanza a braccia larghe al posto del Cristo Redentore di Rio, con un pneumatico sulla pianta del piede e lo slogan più azzeccato di sempre: la potenza è nulla senza controllo.
3 – Ravanelli
Celebri le parole di Big Luciano che il giorno dopo averlo dichiarato incedibile lo cedette al Middlesbrough per una cifra che solo la triade sapeva scucire. “Penna bianca” diventò così “Silver fox” ed entrò subito nel cuore dei tifosi con la tripletta al Liverpool all’esordio in Premier. Nonostante 17 gol in 34 partite non riuscì ad evitare la retrocessione del Boro, ma questa è un’altra storia. Inutile dire che la rete più pesante in carriera fu il caparbio gol in finale di Champions contro l’Ajax festeggiato col marchio di fabbrica: maglia girata a coprire il volto e canotta della salute sdoganata. Vero caso mediatico perché nacque la moda di esibire scritte e marchi sotto la maglia da gioco. Il conflitto di interessi tra sponsor e compagnia costrinse gli arbitri a distribuire cartellini gialli al minimo accenno. Solo per questo merita il gradino più basso del podio.
2 – Batistuta
“Re leone”, “Batigol”, chiamatelo come volete, Gabriel Omar Batistuta è stato il prototipo del centravanti perfetto, nemmeno alla playstation potreste creare un attaccante così completo. Ha sfondato la porta in tutti i modi, il più forte numero 9 che l’Argentina abbia mai visto, uno dei migliori centravanti sudamericani e forse del mondo. L’unico rammarico è stato dover emigrare a Roma per vincere quel tricolore che avrebbe tanto voluto cucire sulla maglia viola. Nessuno più di lui fu autorizzato a non esultare per il gol dell’ex dopo nove anni a Firenze. La Fiesole a un certo punto, finite le parole, gli dedicò una statua di fronte alla curva. Può bastare? Anzi no. Il 27 novembre del 1994 segnò alla Sampdoria per l’undicesima domenica consecutiva frantumando il record di Pascutti del Bologna.
A Firenze 167 gol in 268 partite, roba da pazzi. Zittì il Camp Nou dopo una bomba di destro, a San Siro gridò in faccia alla telecamera “Te amo Irina!” dopo un siluro dei suoi, s’inventò pure la posizione tronfia impugnando la bandierina del calcio d’angolo ma la più celebre di tutte, quella veramente passata alla storia, è la mitragliatrice emulata da grandi e piccini. Mai gesto fu più azzeccato.
1 – Il Bari
Metà anni ’90, la serie A è uno splendore, le nostre squadre si spartiscono le coppe europee ma anche le provinciali danno spettacolo. Fra queste ci sono i neopromossi “galletti” del Bari che giocano in un gioiello disegnato da Renzo Piano per le notti magiche. Chiudono al 12° posto giocando un calcio divertente e in estate rimpiazzano il bomber Tovalieri col tandem atipico Protti-Andersson. Il primo è una scheggia impazzita che vede la porta da qualunque posizione mentre lo svedese è un gigante in grado di catalizzare qualsiasi pallone piova dal cielo e segna 12 gol. Igor Protti timbra 24 volte e chiude capocannoniere ma quel Bari è tutto fuorchè equilibrato e retrocede in serie B.
Sono comunque due anni indimenticabili, soprattutto per l’esultanza di gruppo più famosa di sempre che vale il primo posto di questa classifica amarcord: il trenino!